lunedì 16 aprile 2018

The Dead Daisies - Burn It Down

Il 2018 vede il ritorno dei Dead Daisies con un nuovo album in studio intitolato Burn It Down che esce a meno di due anni dal precedente Make Some Noise e a solo uno dal live Live & Louder. Vista la frequenza delle pubblicazioni del combo guidato da John Corabi appare evidente che l'etichetta di supergruppo inizi ad andare un po' stretta a una band che di fatto sforna più album di molte formazioni permanenti e che spesso porta la propria musica sui palchi di arene e palazzetti in lunghe tournée planetarie.

Rispetto all'album precedente la formazione vede un solo cambio, con il batterista Deen Castronovo che prende il posto di Brian Tichy e che contribuisce a formare un cast di stelle assolute dell'hard rock insieme a David Lowy alla chitarra ritmica, Doug Aldrich alla chitarra solista, Marco Mendoza al basso e John Corabi alla voce.

In questo nuovo LP la band propone di nuovo il proprio suono distintivo fatto di un hard rock ispirato ai classici degli anni 70, ricco di sfumature di blues e soprattutto fatto per divertire con sonorità veloci e fracassone. Il disco è composto da dieci pezzi più una bonus track presente solo nell'edizione su CD. Come è ovvio e naturale attendersi, l'album vede una preponderanza di pezzi veloci ed energici; tra questi troviamo le due tracce che aprono l'album subito su ritmi molto sostenuti quali Resurrected e Rise Up. Tra i migliori pezzi veloci spiccano anche Dead And Gone in cui Corabi tira fuori il meglio delle sue doti vocali rimaste troppo a lungo adombrate dall'essere considerato il sostituto temporaneo di Vince Neil (al quale Corabi è in realtà molto superiore). Meritano una menzione anche la velocissima Leave Me Alone, che propone sonorità più vicine all'hair metal degli anni 80, e l'aggressiva Can't Take It With You.

Nell'album non mancano momenti più tranquilli con la titletrack che presenta sonorità blues molto marcate e con la ballad dal sapore southern intitolata Set Me Free.

Come anticipato nella versione fisica troviamo una bonus track, ovvero la cover di Revolution dei Beatles (che ovviamente non c'entra nulla con l'album Revolución dei Dead Daisies del 2015, che tra l'altro non aveva una title track), di cui il quintetto lascia inalterata la melodia incalzante e ribelle condendola con chitarre distorte e con il ritmo potente della batteria che ne sottolinea l'incedere deciso.

E' ovvio che siamo davanti a un disco che ripropone stilemi e del passato e che non offre grandi novità in termini sonori, ma non sarebbe neanche corretto aspettarselo dai Dead Daisies la cui missione è ovviamente quella di produrre musica di facile presa e divertente che regali un'ora di atmosfere allegre e festaiole. E se questo è lo scopo di Burn It Down, il risultato raggiunto dalla band con il loro quarto album centra in pieno l'obiettivo.

martedì 10 aprile 2018

Blackberry Smoke - Find a Light

Da quattro anni a questa parte i Blackberry Smoke hanno abituato i loro fan alla pubblicazione di album a una velocità impressionante. Il nuovo Find a Light, pubblicato il 6 aprile del 2018, arriva infatti a poco più di un anno e mezzo dal precedente Like an Arrow del 2016 che a sua volta seguiva Holding All the Roses più o meno dello stesso intervallo temporale.

Il quintetto di Atlanta ripropone il proprio stile distintivo senza troppe variazioni con un southern rock divertente ricco di sfumature country e di contaminazioni di vari generi. Il disco parte alla grande con l'energica Flesh and Bone il cui deciso riff di chitarra sconfina nell'hard rock. Segue un pezzo dalle atmosfere più southern intitolato Run Away From It All che prosegue su ritmi sostenuti; le stesse atmosfere si trovano anche nella speranzosa Best Seat In The House.

Nel disco non mancano momenti più melodici. Troviamo infatti tre ballad quali Medicate My Mind, I've Got This Song, che è uno dei pezzi migliori dell'album grazie alla presenza dei violini che accompagnano la melodia, e Seems So Far in cui le atmosfere del sud tornano a sentirsi con forza.

Find a Light è anche ricco di ospiti che contribuiscono a rendere questo disco ancora più ricco di suggestioni musicali diverse. Il chitarrista Robert Randolph (che milita nella band che porta il suo nome) è ospite nella bellissima I'll Keep Ramblin', che nella prima metà offre un rock and roll veloce e divertente per trasformarsi in un pezzo gospel nella seconda metà grazie alla poderosa presenza del coro che accompagna la voce di Charlie Starr. La cantante Amanda Shires duetta con Starr nel midtempo Let Me Down Easy, oltre a cantare la seconda voce bassa nel ritornello Amanda suona il violino in tutto il brano creando così uno dei pezzi più belli e d'atmosfera dell'album. Un altro duetto di trova nel pezzo di chiusura Mother Mountain che vede come ospiti il terzetto dei Wood Brothers.

Tra i momenti più melodici dell'album spicca anche Lord Strike Me Dead, un altro midtempo il cui ritornello è caratterizzato da un bellissimo coro di femminile che si somma alla voce di Starr. Nel disco non mancano contaminazioni di musica nera con le influenze blues di Nobody Gives A Damn e Til The Wheels Fall Off.

Completa il disco la trascurabile The Crooked Kind le cui sonorità un po' forzate la rendono il pezzo più debole del disco che essendo composto da tredici tracce si fa perdonare largamente questo passo falso.

I Blackberry Smoke si confermano una delle realtà più interessanti del rock contemporaneo, nonostante non godano nel nostro paese della fama che meriterebbero. Nella loro lunga carriera non hanno mai sbagliato un disco e avendone sei all'attivo il risultato è degno di lode. Un altro aspetto notevole di questa band è che nessuno dei membri ha mai lasciato la formazione, la lineup dei Blackberry Smoke è infatti la stessa dal 2000 con la sola aggiunta del tastierista Brandon Still nel 2009.

Non possiamo che sperare che con Find a Light raggiungano la meritata notorietà anche da noi e che finalmente i programmatori delle radio di accorgano di questo quintetto di altissimo valore.

mercoledì 4 aprile 2018

Dreamtale - Difference

I Dreamtale sono una delle realtà più interessanti del power metal finlandese, anche se purtroppo non godono della fama che meriterebbero al di fuori dei confini del loro paese. Nella sua ultradecennale carriera il gruppo ha visto molte rivoluzioni della propria formazione lasciando il solo chitarrista Rami Keränen (che nelle prime incisioni ricopriva anche il ruolo di cantante) come unico membro fisso. Tra i dischi migliori della lunga carriera di questa band va annoverato sicuramente l'album Difference uscito nell'aprile del 2005 in cui al microfono troviamo lo straordinario cantante Jarkko Ahola, che curiosamente nello stesso mese pubblicò anche il suo primo album con i Teräsbetoni intitolato Metallitotuus.

Come tutti gli album dei Dreamtale, Difference offre un power metal melodico composto da un buon equilibrio tra il suono sostenuto delle chitarre e quello morbido delle tastiere, con la potente e versatile voce di Jarkko Ahola a dare la propria marcata impronta a tutti i dodici pezzi. L'album si apre con due brani aggressivi come Lost Souls, e Wings of Icarus che chiariscono da subito quali saranno le sonorità prevalenti dell'album, che infatti vede una preponderanza di pezzi duri. Sonorità simili si trovano anche in World's Child e in New Life che si apre con un coro a secco per poi sfociare in un suono più aggressivo del resto del disco, il pezzo è ricco di rimandi all'AOR degli anni ottanta grazie anche alla superlativa prova di Ahola negli acuti. Sonorità AOR si trovano anche nella bellissima Secret Door, anch'essa ricca di cori e nella quale le tastiere hanno un ruolo molto importante nel sostenere la melodia. Tra i momenti più energici si distingue anche We Are One, anch'essa basata fortemente sul suono delle tastiere ed impreziosita dall'apertura con un vocalizzo di voci femminili.

Nel disco non mancano brani più lenti e d'atmosfera. Troviamo infatti due power ballad come Mirror e Green Fields, oltre alla acustica Sail Away. Una menzione a parte merita la bellissima Lucid Times, brano di oltre sette minuti che unisce le sfumature AOR a tocchi di epic metal; la traccia si apre con un rock sostenuto e melodico con un ritornello potente in cui il coro della band si somma alla potente voce di Ahola, dopo un poderoso inciso corale il ritmo rallenta grazie a uno stacco al piano per proseguire con ritmi da ballad appena prima di riprendere la potenza dell'apertura per la chiusura del pezzo. Completa il disco Fly, anch'essa caratterizzata da notevoli cambi di tempo, con strofe lente e ritornelli potenti in cui Ahola dà di nuovo prova della sua potenza ed estensione; il pezzo è impreziosito dalle chitarre acustiche dal sapore spagnoleggiante che introducono la seconda strofa.

Chiude l'album la bonus track, presente solo nell'edizione giapponese, Powerplay che grazie al suo suono grintoso e ruggente riporta i ritmi ad alti livelli prima di chiudere il disco.

Difference è solo uno degli ottimi album realizzati da questa band la cui discografia conta ad oggi sette LP in studio, tutti caratterizzati da un power metal che unisce ottime musiche ad altrettanto ottime vocalità. Sebbene Jarkko Ahola sia difficilissimo da raggiungere quanto a capacità vocali, anche gli altri vocalist della band hanno garantito performance di altissimo livello, e se Difference resta il loro album migliore (proprio grazia alla presenza di Ahola) anche l'ascolto degli altri sei album non lascerà certo delusi gli amanti del power metal e della buona musica di ogni genere.

giovedì 29 marzo 2018

Sandro Di Pisa - Jesus Christ Superguitar

In occasione del Natale del 2017 il jazzista e divulgatore italiano Sandro Di Pisa ha realizzato una propria versione interamente strumentale della celeberrima rock opera Jesus Christ Superstar di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice. La versione di Di Pisa si intitola Jesus Christ Superguitar e come suggerisce il titolo stesso è un riarrangiamento per chitarra dell'opera originale, in cui le voci dei protagonisti sono sostituite da altrettante chitarre. Troviamo quindi la chitarra jazz nel ruolo di Gesù, la chitarra rock in quello di Giuda, la chitarra classica che interpreta la Maddalena, il synth guitar che fa le veci degli apostoli e la chitarra acustica nei ruoli di Anna, Caifa, Pilato ed Erode. Le cinque chitarre insieme interpretano le parti corali della folla.

Già dal primo ascolto appare ovvio che l'opera di Di Pisa è il frutto del lavoro di un genio della musica di altissimo valore, che è riuscito a dare a un'opera che vanta innumerevoli interpretazioni dei risvolti inaspettati a cui nessuno, nemmeno gli autori, aveva pensato fino ad ora. Le chitarre di Sandro Di Pisa hanno un'espressività incredibile, tanto che sembra che cantino, più che suonare. La scelta dei ruoli ovviamente non è casuale e nemmeno scontata. La chitarra jazz dà un tocco deciso e al contempo delicato alla parte di Gesù che esprime forza e speranza anche attraverso uno strumento. Allo stesso modo la chitarra rock che interpreta Giuda mette da parte ogni mezza misura per esprimersi in una parte determinata e ribelle che con le sue distorsioni esprime il disappunto e la visione critica del personaggio all'interno dell'opera. La chitarra classica che dà la voce alla Maddalena riporta la dolcezza e lo smarrimento dell'unico personaggio femminile.

La passione di Di Pisa per la musica jazz, e per la musica in generale, è rispecchiata anche nell'adattamento dei titoli dei pezzi. Ad esempio, Everything is Alright diventa Everything's in Five, Osannah diventa Bossanna e Gethsemane diventa Gezzeman. Inoltre all'interno di alcuni pezzi sono presenti frammenti di opere slegate da Jesus Christ Superstar. Nella già citata Everything's in Five si trovano ad esempio snippet di Take Five del Dave Brubeck Quartet e del tema di Mission: Impossibile di Lalo Schifrin; in The Last Supper troviamo un frammento di Whiter Shade of Pale dei Procol Harum e nel finale Superguitar (adattamento del pezzo più celebre dell'opera, Superstar) si trova un inserto di Le Poupée Qui Fait Non del cantante francese Michel Polnareff.

Questa opera di Sandro Di Pisa dona una freschezza inaspettata a uno dei musical più noti della storia, tanto che già dal primo ascolto viene da chiedersi quali delle chitarre di Di Pisa interpreterebbero Grizabella o Mistoffelees se il jazzista nostrano decidesse di mettere le mani anche su Cats o se la chitarra jazz potrebbe interpretare anche Giuseppe in Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat. E di fronte a questi interrogativi non resta che sperare che Jesus Christ Superguitar non resti un esperimento isolato e che Di Pisa decida di mettere la sua genialità al lavoro su altre opere.

giovedì 22 marzo 2018

Sam Cooke - Twistin' the Night Away

Nei primi anni 60 Sam Cooke decise di allontanarsi dal soul tradizionale per condire la propria musica con elementi provenienti da altri stili. Nel 1961 provò a mischiare il soul con lo swing nell'album Swing Low e lo stesso anno tentò anche la strada del connubio con il blues con My Kind of Blues; visto il successo dei due esperimenti l'anno seguente realizzò Twistin' the Night Away che come dice il titolo stesso unisce il suono di Sam Cooke con il twist che in quegli anni godeva di grande popolarità grazie ad artisti come Hank Ballard and The Midnighters e ovviamente Chubby Checker.

Il risultato è l'LP più diverente della carriera di Sam Cooke, composto di dodici pezzi in cui regna l'atmosfera allegra e festaiola tipica del twist. L'album contiene capolavori assoluti della discografia del cantante come la title track, Twistin' in the Kitchen with Dinah e Twistin' in the Old Town Tonight. Tra i pezzi più allegri troviamo anche una cover di The Twist the Hank Ballard (portata al successo anche da Chubby Checker) che Cooke personalizza nel suo stile fino a renderla irriconoscibile.

Nel disco è presente anche Somebody's Gonna Miss Mea, ballad più tradizionale e più vicina ai lavori di Sam Cooke degli inizi. Tra i brani più puramente soul troviamo anche Soothe Me, in cui Cooke duetta com Lou Rawls, quest'ultimo è presenta anche nella divertente Movin' And A'Groovin in veste di autore. In questo disco non manca un assaggio di blues con Somebody Have Mercy, brano basato su una bella commistione di chitarre, piano e armonica sul ritornello.

E' difficile trovare album migliori di altri nella straordinaria carriera di Sam Cooke, perché le sue uscite discografiche hanno inanellato successi a ripetizione, ma se c'è un merito particolare che può essere riconosciuto a questo disco è quello di avere un'anima ballabile e orecchiabile che spicca sugli altri. E oltre a dare una grande prova delle capacità di Sam Cooke come cantante e autore, dimostra anche la sua incredibile versatilità.

mercoledì 14 marzo 2018

Judas Priest - Firepower

Il 2018 vede il ritorno dei leggendari Judas Priest a quattro anni di distanza dal precedente album Redeemer of Souls; il nuovo disco porta il portentoso titolo di Firepower e la grinta espressa già in copertina trova, come vedremo di seguito, ampio riscontro nella musica. La band arriva a questa nuova prova in studio con la stessa formazione del disco precedente, anche se Glenn Tipton ha abbandonato l'attività per gravi motivi di salute appena dopo la registrazione del disco e prima dell'avvio del tour mondiale.

L'album è composto da quattordici pezzi e offre un metal poderoso e massiccio mostrando il gruppo in grande forma, sia compositiva sia interpretativa. Come sempre la musica dei Judas Priest coniuga sapientemente sonorità dure e pesanti con melodie di facile presa, restando quindi fedele agli stilemi classici del metal riuscendo anche a entrare nella testa dell'ascoltatore già al primo giro. A quarantaquattro anni dall'album di esordio, l'elemento più riconoscibile della musica della band di West Bromwich resta l'incredibile voce di Rob Halford, ineguagliato nel mondo metal quanto a potenza ed estensione, come dimostrano da oltre quattro decenni i suoi inimitabili acuti.

Firepower parte subito alla grande con due brani potentissimi come la title track e Lightning Strike che sembrano presi di peso dalle produzioni dei Judas dei primi anni 80, come lo storico album Screaming For Vengeance, e trasportate ai giorni nostri. Con i successivi due Evil Never Dies e Never the Heroes i ritmi scendono leggermente senza rinunciare alla durezza dei suoni, facendo di nuovo rivivere i fasti di incisioni storiche come British Steel.

Tra i pezzi più energici troviamo anche Flame Thrower, la graffiante Traitors Gate, Necromancer e No Surrender, quest'ultima in particolare offre qualche assaggio di power metal grazie anche ai cori sul ritornello che ammorbidiscono la sonorità del pezzo.

L'album contiene anche una buona quantità di pezzi più melodici. Tra questi si trovando Children of the Sun e il midtempo Rising From Ruins, introdotta dalla strumentale Guardians, in cui Halford dà grande prova anche delle sue doti melodiche oltre a quelle di potenza che trovano ampio sfoggio in tutto il disco. Sulle stesse tonalità più morbide troviamo anche Spectre che è il brano più ricco di assoli di chitarra che si alternano alla voce del cantante.

Chiudono il disco i due pezzi molto particolari e unici nella lunga discografia dei Judas Priest. Lone Wolf è un brano crepuscolare, cupo e d'atmosfera, che tende verso lo stoner rock risentendo in parte delle influenze di Master of Reality dei Black Sabbath. In ultima posizione troviamola power ballad Sea of Red che si apre con un bellissimo arpeggio di chitarra per poi sfociare in un pezzo melodico che richiama di nuovo il decennio ottantiano con l'attacco del ritornello in parte debitore a The Unforgiven dei Metallica.

Firepower è un album che convince sotto tutti i punti di vista e che non ha momenti bassi ma intrattiene con del metal puro e genuino per 58 minuti. Senza timore di essere smentiti possiamo dire che si tratta della migliore prova in studio della band da rientro di Rob Halford e l'ennesima dimostrazione che nonostante gli anni che avanzano e la carriera ultraqurantennale i Judas Priest hanno ancora molte frecce al proprio arco.

giovedì 8 marzo 2018

La discografia di Ritchie Valens

Tra i musicisti scomparsi troppo giovani Ritchie Valens occupa sicuramente un posto particolare essendo morto a neanche 18 anni in uno schianto aereo il 2 febbraio del 1959 insieme a Buddy Holly e The Big Popper, in quello che fu definito The Day That Music Died. Ma nonostante la brevità della sua carriera e la scarsezza delle sue incisioni, Valens resta uno dei musicisti che hanno forgiato il rock and roll e le cui influenze si sentono nella musica di gruppi come i Santana e in tutti i chitarristi rock che sono venuto dopo di lui.

Durante la sua breve vita Ritche Valens riuscì a pubblicare solo tre 45 giri. Il primo di essi fu Come On, Let's Go/Framed grazie al quale ottenne la prima buona dose di successo; il primo dei due pezzi è un divertente rock and roll che resta tutt'ora una delle tracce più riconoscibili di Valens, mentre il secondo è un blues il cui riff di chitarra ricorda quello di Mannish Boy di Muddy Waters uscito tre anni prima. Il secondo 45 giri fu quello che resterà per sempre il suo maggiore successo: Donna/La Bamba; il primo dei due brani è un lento dedicato alla sua fidanzata dei tempi della scuola, Donna Ludwig, mentre il secondo è la celeberrima rivisitazione in chiave rock and roll di un classico folk messicano che di certo non richiede presentazioni. Il terzo dei tre singoli fu Fast Freight/Big Baby Blues che contiene due pezzi strumentali, il primo dei quali è un puro rock grintoso, mentre il secondo è di nuovo di stampo marcatamente blues.

Purtroppo Valens non riuscì a vedere pubblicati nessuno degli album che raccolgono il materiale da lui registrato, infatti i tre LP pubblicati furono dati alle stampe dal produttore Bob Kane solo dopo la morte del cantante. Il primo di esso si intitola proprio Ritchie Valens e fu pubblicato dopo solo un mese dal tragico evento. Il disco è composto da dodici tracce principalmente improntate a un rock and roll divertente ricco di suoni latini e centroamericani. Nel disco troviamo le quattro tracce tratte dai primi due 45 giri, che sono sicuramente tra i momenti migliori dell'LP. Tra i brani degni di nota troviamo anche i due lenti In A Turkish Town e We Belong Together, mentre tra i pezzi veloci spiccano la cover di Boney-Moronie di Larry Williams e Dooby-Dooby-Wah. Nel disco è presente anche Bluebirds Over The Mountain, cover del brano di Ersel Hickey, che negli anni è stato reinterpretato da innumerevoli artisti tra cui i Beach Boys e Robert Plant.

Nell'ottobre dello stesso anno, Bob Kane pubblicò il secondo album di Ritchie Valens intitolato semplicemente Ritchie. Il disco contiene 11 tracce tra cui le due pubblicate sul terzo 45 giri uscito prima dell'incidente aereo. Rispetto al primo LP, il secondo contiene una maggiore varietà di suoni e stili diversi. Oltre a contenere i due pezzi strumentali usciti nel terzo dei tre 45 giri, vi troviamo infatti anche Little Girl il cui stile musicale sembra influenzato dal rhythm and blues di Fats Domino e un altro brano strumentale intitolato Ritchie's Blues che come dice il titolo stesso tende fortemente verso il blues. Anche in questo disco non mancano comunque i momenti di rock and roll più allegro con brani come The Paddi-Wack Song, Rockin' All Night e Hurry Up, scritta per Valens da Shari Sheeley, al tempo fidanzata di Eddie Cochran. Anche questo album contiene un buon numero di pezzi melodici, e alle volte malinconici, come Stay Beside Me, My Darling Is GoneNow You're Gone.

A dicembre del 1960 Rob Keane pubblicò un terzo LP di Ritchie Valens intitolato Ritchie Valens In Concert at Pacoima Jr. High che, come dice il titolo stesso, contiene una registrazione live di un concerto tenutosi il 10 dicembre del 1958 nella Pacoima Junior High School, in California; che lui stesso aveva frequentato. Il primo lato dell'LP contiene 4 brani registrati live quali Donna, la cover di Summertime Blues di Eddie Cochran, l'inedito From Beyond strumentale e La Bamba. La sezione live è completata con una registrazione demo di Come On Let's Go a cui è stato sovraimposto il rumore della folla, che infatti non combacia con l'incedere del pezzo.

Il secondo lato dell'LP contiene cinque registrazioni in versione demo mai completate, ciascuna introdotta dalla voce di Keane che ne spiega il contenuto. Tre dei pezzi sono strumentali: Rhythm Song, Guitar Instrumental ispirata alla musica di Bo Diddley, e il brano folk Malagueña che avrebbe dovuto nelle speranze del autori replicare il successo di La Bamba. Oltre a questi, concludono il disco due pezzi cantati intitolati Rock Little Darling e Let's Rock and Roll, due rock and roll veloci e dalle atmosfere festaiole. La qualità di questo terzo disco è piuttosto povera, tuttavia va riconosciuto a Keane il merito di aver dato alle stampe del materiale preziosissimo che altrimenti sarebbe andato perso o sarebbe diventato rarissimo e introvabile.

Purtroppo le incisioni di Ritchie Valens sono veramente poche perché la prematura morte del cantante non gli ha consentito di registrare più di una manciata di pezzi. L'interesse per la musica di Valens e per la sua tragica storia sono stati rinvigoriti negli anni 80 dal biopic La Bamba in cui i Los Lobos interpretano la musica di Valens rinnovandola e attualizzandola con il gusto dell'epoca. In realtà non sapremo mai dove sarebbe arrivato Ritchie Valens se avesse potuto vivere più a lungo, ma dal talento che ha dimostrato in soli tre LP possiamo immaginare che sarebbe diventato uno dei grandissimi del rock and roll al pari dei cantanti più blasonati di ogni tempo.