sabato 23 settembre 2017

Motörhead - Under Cöver

Questo articolo è stato scritto dal nostro guest blogger Tino che ringraziamo per il contributo.

40 anni di carriera e 23 dischi in studio non sono abbastanza e dopo circa due anni dalla scomparsa del leggendario Lemmy Klimster e dal loro conseguente scioglimento, i Motörhead pubblicano una raccolta dal titolo Under Cöver che contiene 10 reinterpretazioni di brani registrati tra il 1992 e il 2015 già inclusi in altre raccolte e un inedito. La raccolta abbraccia generi musicali diversi, ma il tutto è in perfetto stile Motörhead: grezzo e veloce, ruggente e violento.

Il punk non è mai stato la mia passione ma la reinterpretazione di God Save the Queen dei Sex Pistols fatta nel 2000 per il disco We Are Motörhead è davvero ben riuscita; entusiasma meno Rockaway Beach dei Ramones, incisa nel 2002 ma mai pubblicata.

Andando invece su sonorità più familiari, il brano di apertura Breaking The Law dei Judas Priest è spettacolare, fu inciso nel 2008 per la raccolta Hell Bent Forever: A Tribute To Judas Priest ma non è presente nella discografia ufficiale. Bellissima ma da non considerarsi esattamente una cover Hellraiser, scritta da Ozzy Osbourne, Lemmy Klimster e Zack Wylde. Lemmy e soci sono riusciti a rendere più devastante anche Wiplash, direttamente dall'album di esordio dei Metallica, pubblicata nel 2005 che valse a Lemmy e soci l'unico Grammy della loro carriera.

Con la collaborazione di Biff Byford dei Saxon e direttamente dal repertorio dei Rainbow anche un riarrangiamento di Starstruck, pubblicata nel 2014 nella raccolta Ronnie James Dio This Is Your Life, dedicata al compianto ex frontman proprio dei Rainbow.

Non particolarmenti degni di nota Cat Scratch Fever di Ted Nugent e di Sympathy for the Devil dei Rolling Stones, mentre secondo me, sempre dei Rolling Stones, Jumpin' Jack Flash è un pezzaccio da sparare nell'autoradio a tutto volume! Buon lavoro anche per Shoot'em Down dei Twisted Sisters.

Ho lasciato intenzionalmente in fondo la reinterpretazione di Heroes di David Bowie, pezzo che da solo vale tutto il disco. Il pezzo è epico già nella versione originale, ma Lemmy l'ha reso ancora più bello; registrato nel 2015 durante la produzione dell'ultimo disco dei Motörhead Bad Magic è rimasto inedito fino ad agosto del 2017 ed è l'ultima registrazione del frontman della band prima di lasciarci 4 mesi più tardi. Singolo e videoclip per questa raccolta è già stato scelto come inno ufficiale per il festival metal Wacken Open Air del 2018.

Anche se a prima vista il disco può sembrare un'operazione nostalgica ma sopratutto commerciale è davvero ben fatto e ne consiglio a tutti gli amanti di musica rock, non solo a i fan dei Motörhead, l'ascolto. Lemmy non c'è più, ma il mito continua...

They are Motörhead ... and they play rock 'n roll!

mercoledì 20 settembre 2017

Magni Animi Viri - Heroes Temporis

Il 2007 ha visto la nascita della prima rock-opera interamente in italiano, il progetto musicale guidato dal maestri Giancarlo Trotta e Luca Contegiacomo porta il nome di Magni Animi Viri e il loro album si intitola Heroes Temporis.

Il disco si basa su basi musicali suonate dalla band composta da chitarre, bassi e batteria a cui si unisce la Bulgarian Symphony Orchestra diretta dal maestro Giacomo Simonelli. Il suono prodotto da questa larga schiera di oltre cento musicisti unisce le sinfonie della musica classica al suono più moderno del power metal, a questo tessuto musicale si sommano le splendide voci del tenore operistico Francesco Napoletano e della cantante pop-rock Ivana Giugliano, invertendo quindi il paradigma del metal sinfonico che spesso vede voci liriche femminili accanto a voci maschili dallo stile moderno.

L'album narra del viaggio nella vita del protagonista della storia, interpretato da Napoletano, che ripensa alle diverse fasi della propria esistenza e in questo percorso incontra varie figure quali quella di un genitore e ovviamente quella della donna amata con cui ha un rapporto contrastato. Alla fine del proprio viaggio il protagonista scoprirà di aver vissuto un sogno.

Dal punto di vista musicale il risultato è semplicemente meraviglioso e l'unione di due mondi musicali così diversi è incredibilmente armoniosa. La vera forza di questo disco è la voce di Napoletano che dà sfoggio della propria potenza ed estensione per tutta la durata dell'album. I due vocalist si alternano, si amalgamano e spesso duettano, con Napoletano che fa le voci più alte e la Giugliano che interpreta quelle più basse, come nel pezzo centrale dell'opera Vorrei e nella leggera Sai Cos'è, unico pezzo del disco a essere suonato con chitarre acustiche. Bellissimo è anche il controcanto della Giugliano sul ritornello finale di Come Un Falco cantato da Napoletano.

Alcuni brani sono eseguiti dalla sola Giuglano che sfodera una voce graffiante e versatile in pezzi che risultano più tradizionalmente pop-rock che power metal operistico. Tra questi troviamo la ballad Finché, la rockeggiante Pensieri e l'onirico midtempo Immenso.

I brani migliori del disco sono quelli in cui Napoletano mostra al meglio le doti della sua magnifica voce, tra essi troviamo i due pezzi di apertura Heroes... e ...temporis, le già citate Vorrei e Come Un Falco e la poderosa Mai Più.

Il disco è impreziosito dalla presenza di sostenuti cori in molti dei pezzi che spesso regalano una bellissima alternanza tra la sezione femminile e quella maschile. Alcune parti sono invece solo lette per aggiungere segmenti narrati alla vicenda, la voce del lettore è prestata da Matteo Salsano.

Nove anni dopo la pubblicazione iniziale, Trotta e Contegiacomo sono tornati in studio per realizzare la world edition di Heroes Temporis cantata in inglese da due vocalist d'eccezione: Russell Allen (cantante tra gli altri dei Symphony X e degli Adrenaline Mob) alla voce maschile e Amanda Somerville (Trillium, Avantasia, Exit Eden e molti altri) alla voce femminile. La parte del narratore è invece interpretata da Clive Riche. La tracklist è leggermente più corta perché mancano alcuni brevi inserti musicali, ma le parti cantante restano immutate, e i titoli dei brani sono tradotti in inglese.

Le melodie sono le medesime del disco in italiano e Russell Allen sfodera una prova magistrale mostrando una versatilità inaspettata nel tentativo di eseguire un canto operistico che sarebbe al di fuori del suo repertorio tradizionale, il risultato è decisamente buono ma per quanto vada lodata la prova di Allen gli manca ancora quel qualcosa in più per raggiungere le vette di Napoletano che rimangono ancora lontane. Amanda Somerville è invece semplicemente inarrivabile, del resto Amanda è una delle migliori cantanti al mondo e ben poche possono avvicinarsi al suo stile; il suo canto è limpido, dolce e deciso e, senza nulla togliere alla pur bravissima Giugliano, regala un'altra performance stellare.

Questo album, in entrambe le sue versioni, è un capolavoro di assoluto valore e di grande effetto. Una volta ascoltata per intero la versione originale viene subito voglia di inserire nel lettore la versione in inglese per poi rimettere quella in italiano e ricominciare l'ascolto dall'inizio. Le melodie di questo album e la voce di Napoletano entrano in testa come un martello pneumatico e non ne escono più e subito dopo il primo ascolto ci si ritrova già a canticchiare Siamo gocce di un oceano, specchio delle luci su di noi.

Ma nonostante questo sia un disco che convince sotto ogni aspetto, ascoltando la world edition resta un grande dubbio e un invito che vogliamo rivolgere a Giancarlo Trotta e Luca Contegiacomo: quanto sarebbe bella una terza versione di Heroes Temporis cantata da Francesco Napoletano e Amanda Somerville ognuno nella propria lingua?

Speriamo che i due maestri raccolgano il nostro invito e che questo non resti solo un sogno, così da poterci un giorno togliere la curiosità.

lunedì 18 settembre 2017

Visions of Atlantis - Old Routes - New Waters

Nel 2013 gli austriaci Visions of Atlantis, dopo l'uscita dell'album Ethera, hanno rivoluzionato la propria formazione tenendo il solo batterista Thomas Caser, unico membro rimasto per tutta la carriera del gruppo, a cui si sono aggiunti cinque elementi nuovi. Per i tre musicisti si è trattato di un ritorno, infatti il chitarrista Werner Fiedler, il tastierista Chris Kamper e il bassista Michael Koren avevano già militato nei Visions of Atlantis in passato; mentre i due cantanti, la francese Clémentine Delauney e Siegfried Samer, sono invece membri nuovi.

Il primo EP registrato dal gruppo con la nuova formazione e pubblicato nel 2016 porta l'eloquente titolo di Old Routes - New Waters e in copertina mostra un vascello in mare aperto che batte bandiera austriaca e francese (perché ormai il gruppo non è più solo austriaco).

La band ha scelto per la prima prova in studio di realizzare un EP di cinque brani già editi in passato e qui interpretati dalla band rinnovata. I pezzi scelti sono Lovebearing Storm dall'album Eternal Endless Infinity, Seven Seas dall'album Trinity e Lost, Last Shut Of Your Eyes e Winternight (di cui è stato anche realizzato un video) da Cast Away.

Le melodie restano immutate rispetto alle incisioni originali, ciò che invece cambia notevolmente sono le voci dei due interpreti. In particolare il migliore acquisto di questa band è sicuramente la superlativa Clémentine che con la sua voce limpida da soprano, di registro più alto rispetto a tutte le altre cantanti che l'hanno preceduta nella band, si dimostra superiore alle pur bravissime vocalist precedenti. In particolare Clémentine riesce a tenere lo stile di canto lirico praticamente ovunque, anche a velocità che sarebbero proibitive per gran parte delle sue colleghe. La supremazia vocale di Siegfried Samer rispetto ai due cantanti che l'hanno preceduto non è altrettanto marcata, ma il nuovo vocalist si dimostra almeno allo stesso livello degli altri, riuscendo così a non far rimpiangere le formazioni passate.

Ovviamente questo EP è solo un riempitivo nella discografia dei Visions of Atlantis che aveva come scopo quello di interrompere un silenzio che durava dal 2013. Ma da questo piccolo esperimento possiamo constatare come le premesse per il futuro siano ottime. Sebbene Old Routes - New Waters non sarà una pietra miliare della discografia del gruppo, lascia almeno la speranza che il prossimo album sarà invece l'ennesimo ottimo lavoro.

domenica 10 settembre 2017

All Eyez On Me: il biopic sulla vita di Tupac

Viene proiettato in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane il biopic All Eyez On Me sulla vita del rapper Tupac Shakur. Il film racconta la vita del protagonista dalla nascita a New York nel 1971 fino alla morte nel 1996 a Las Vegas. La prima parte del film è narrata in flash-back con Tupac che racconta la propria vita a un giornalista mentre è detenuto al Clinton Correctional Facility, la narrazione poi riprende con l'uscita del rapper dal penitenziario fino alla sua morte per mano di un misterioso assassino.

Sebbene il film sia molto efficace nel raccontare le difficoltà incontrate da Tupac e la durezza della vita nel ghetto, nella seconda metà del film (dalla firma con la Death Row fino alla morte) il racconto è piuttosto confuso e può essere compreso appieno solo da chi già conosce la storia. Ad esempio, non viene approfondito abbastanza chi siano Frank Alexander, Dr. Dre o Puff Daddy, tre persone che ebbero un ruolo fondamentale nell'ultimo anno della vita di Tupac. Inoltre nella scena finale, che mostra la sparatoria tra le via di Las Vegas, vengono omessi particolari importanti. Non viene ad esempio spiegato perché Suge dopo l'aggressione decise di fare inversione e fuggire dalla zona della sparatoria, lo scopo in realtà era quello di portare Tupac all'ospedale prima possibile, ma dal film sembra che Suge scappi da qualcosa o qualcuno. Non viene spiegato che anche Suge rimase colpito da una delle pallottole, né che la BMW aveva tre gomme bucate quando si fermò, facendo sembrare che Suge abbia interrotto la sua corsa senza un motivo.

La versione italiana del film soffre di qualche errore di adattamento. Il primo produttore di Tupac gli chiede se abbia finito di registrare il secondo verso, incappando in un false friend piuttosto noto: verse in inglese significa strofa e non verso. L'errore più grave comunque riguarda la pronuncia del nome di Suge, qui pronunciato Siug con la G dolce, e non Sciug con la G dura come abbreviazione di Sugar Bear.

La scelta degli attori è complessivamente buona, Demetrius Shipp Jr nel ruolo di Tupac e Dominic Santana in quello di Suge assomigliano molto ai personaggi reali; lo stesso non si può dire di Jarrett Ellis nel ruolo di Snoop Dogg o di Harold House in quello di Dr. Dre.

Suscita qualche perplessità il fatto che nel film durante un concerto alla House of Blues di New York Tupac canti Hail Mary che nella realtà uscì solo dopo la sua morte. Di quel live esistono sia l'album sia il DVD e ovviamente il pezzo non era in scaletta, ovviamente è anche impossibile che il pubblico conoscesse il brano e potesse cantare i ritornelli con Tupac.

All Eyez On Me riesce comunque nell'intento di far conoscere aspetti meno noti della vita dal rapper, come il suo rapporto con la madre la cui vita sregolata è causa di grandi problemi per i suoi figli, ma che è al contempo amata da Tupac che le dedica Dear Mama nel disco Me Against The World, o la sua profonda amicizia con Jada Pinkett, futura moglie di Will Smith. Tuttavia la fine della sua carriera e la registrazione degli album All Eyez On Me e The Don Killuminati: The Seven Days Theory (che nel film viene chiamato semplicemente Makaveli, che non è il titolo del disco ma lo pseudonimo adottato da Tupac per lo stesso) sono narrati con troppa superficialità e verranno apprezzati sono da chi conosce già la vicenda e la vorrà vedere rappresentata sul grande schermo.

martedì 5 settembre 2017

Muddy Waters - The London Muddy Waters Sessions

Nei primi anni 70 molti artisti afroamericani si spostarono a Londra per registrare delle sessioni musicali che unissero il suono originario del blues d'oltreoceano con il rock e il blues "bianco" che il Regno Unito aveva iniziato a produrre. Uno di questi fu il leggendario bluesman Muddy Waters che nel 1971 realizzò l'album intitolato The London Muddy Waters Sessions presso gli storici IBC Studios di Portland Place.

L'album vede la presenza di alcuni musicisti britannici di rilievo, tra cui il chitarrista irlandese (ma che lavorava a Londra) Rory Gallagher, Steve Winwood, Ric Grech (bassista dei Blind Faith) e Mitch Mitchell (batterista di Jimi Hendrix). Oltre a questi la formazione è completata da alcuni musicisti della band che seguiva Muddy Waters abitualmente, quali il chitarrista Sammy Lawhorn e l'armonicista Carey Bell.

Il disco è composto di nove pezzi, di cui due inediti di Muddy Waters e sette cover di cui quattro di Willie Dixon, una di Lafayette Leake, una di Casey Bill Weldon e lo standard Key To The Highway, che nel libretto del disco viene accreditato a McKinely Morganfield (vero nome di Muddy Waters) ma di cui i veri autori sono probabilmente Charlie Segar e Big Bill Broonzy.

Il risultato di questa collaborazione è un buon mix tra rock e blues. Il ritmo di alcuni dei brani, come I'm Ready o I Don't Know Why (entrambe cover di Willie Dixon), è notevolmente più veloce di quello degli altri album del bluesman che qui dimostra di sapersi muovere alla grande anche a queste velocità più incalzanti. Oltre alla voce di Muddy Waters il punto di forza di questo album è composto dall'ottimo connubio della chitarra di Gallagher e dell'armonica di Bell. Va sottolineato che la tastiera di Winwood lascia un'impronta piuttosto leggera, ma nel complesso il disco ha un suono armonico di grande effetto e quindi non si può recriminare nulla ai musicisti.

Nella sua avventura nel vecchio continente Muddy Waters ha confermato ciò che già si sapeva sul suo conto: cioè che non gli è mai mancato il coraggio di tentare strade nuove. Ma se alcuni dei tentativi precedenti (come una breve deriva nella musica soul e una nella psichedelia con gli album Brass and the Blues ed Electric Mud) hanno convinto solo a metà, questa volta il tentativo è riuscito alla grande e ha creato con The London Muddy Waters Sessions uno degli album più divertenti del musicista del Mississippi.

martedì 29 agosto 2017

George Thorogood - Party Of One

A 67 anni e a quattro decadi dall'esordio, George Thorogood ha realizzato il suo primo album solista, senza i Destroyers che lo accompagnano dal 1977. Chi si aspetta un album nello stille dei Destroyers suonato da musicisti diversi rimarrà piacevolmente sorpreso: il disco è infatti completamente diverso dalle aspettative, con la strumentazione ridotta all'osso e il solo Thorogood che suona. I pezzi sono tutti realizzati con voce e chitarra e solo in uno è presente anche l'armonica, anch'essa suonata da Thorogood.

Come nella sua migliore tradizione il blues rocker del Delaware decide di realizzare un disco di cover attingendo da repertorio di alcuni mostri sacri del blues, del country e del rock and roll come Robert Johnson, John Lee Hooker, Willie Dixon, Johnny Cash, Rolling Stones e molti altri.

Grazie alla strumentazione essenziale Throgood rimane fedele ai modelli originali e registra un album che omaggia le origini degli stili musicali che lo hanno reso celebre e che lui ha contribuito a diffondere. Uno dei pregi di questo album è infatti proprio quello che i pezzi sembrano vecchi anche all'ascolto; questo non suona come un album di cover realizzato nel 2017, ma come un disco preso di peso dai primi decenni del secolo scorso e teletrasportato ai giorni nostri.

Nonostante lo stile minimalista, Thorogood riesce a esprimersi in stili canori e musicali molto diversi. Si passa da pezzi più aggressivi come I'm a Steady Rollin' Man di Robert Johnson e Boogie Chillen di John Lee Hooker a brani più melodici come Soft Spot di Gary Nicholson e Allen Shamblin e No Expectations dei Rolling Stones fino a pezzi tipicamente country come Bad News di Johnny Cash e Pictures From Life's Other Side di Hank Williams. Tra i pezzi degni di nota troviamo anche The Sky is Crying di Elmore James che Thorogood aveva già inciso con la band nell'album Move It Over del 1978.

In chiusura dell'album troviamo una registrazione live di One Bourbon, One Scotch, One Beer di John Lee Hooker registrata da Thorogood con i Destroyers nel 1999 e (solo nella versione in CD) Dynaflow Blues di Robert Johnson che pure aveva inciso con il gruppo nell'album The Hard Stuff del 2006.

Con Party Of One George Thorogood si conferma uno degli artisti più meritevoli della nostra epoca, capace di realizzare un disco di cover e di omaggi al passato armato solo di chitarra e armonica. Oltre ad essere un grandissimo musicista si dimostra anche per l'ennesima volta un grande conoscitore della storia della musica moderna e della sua evoluzione, dal blues del delta del Mississippi fino al rock contemporaneo. In ogni disco di George Thorogood possiamo trovare il perfetto connubio tra la musica e la sua storia ed è un vero peccato che nel nostro paese Thorogood sia conosciuto solo per Bad To The Bone; resta almeno la speranza che Party Of One allarghi il pubblico degli ascoltatori di questo straordinario musicista e che partendo da qui venga riscoperta anche la lunga discografia dei Destroyers.

mercoledì 23 agosto 2017

Cinema e musica: Morte a 33 Giri

Negli anni 80 il cinema horror e la musica heavy metal vissero un periodo di particolare splendore. Nel 1986 il regista e attore Charles Martin Smith decise di unire questi due filoni realizzando il film Morte a 33 Giri (Trick or Treat in originale) in cui horror e metal si uniscono per una pellicola divertente e intrisa di hard & heavy.

Il film narra la storia di un ragazzo appassionato di metal, Eddie Weinbauer interpretato da Marc Price (noto anche per aver ricoperto il ruolo di Skippy nella serie televisiva Casa Keaton) che riceve in dono dall'amico Nuke, DJ di una radio locale interpretato da Gene Simmons, il nuovo album inedito su disco acetato del suo cantante preferito, Sammi Curr, recentemente scomparso.

Il disco porta l'eloquente titolo Songs in the Key of Death ed Eddie scopre che facendolo girare al contrario può dialogare con il cantante deceduto. Curr dall'oltretomba lo aiuta a vendicarsi degli scherzi che subisce da alcuni bulli della scuola. Sulle prima Eddie si gode le proprie rivincite, ma quando il gioco di Sammi diventerà troppo pesante, il giovane dovrà ribellarsi al suo idolo.

Il film è ovviamente ricco di musica hard & heavy e di rimandi ai gruppi musicali di quel periodo. Nella stanza di Eddie si trovano infatti poster, foto e dischi di band come gli Anthrax, i Raven, i Judas Priest, i Megadeth e molti altri. Inoltre, oltre a Gene Simmons, anche Ozzy Osbourne compare in alcune scene nei panni di un predicatore televisivo che condanna i testi violenti dell'heavy metal.

Il film, come è ovvio, gioca molto sui presunti legami tra occultismo e musica metal e sui messaggi subliminali che secondo una popolare leggenda metropolitana si potrebbero ascoltare facendo girare i vinili al contrario. Del resto molte band di quel periodo scherzarono sugli stessi argomenti usando un look cimiteriale fatto di teschi, abiti neri e immagini tratte dall'immaginario horror.

La colonna sonora del film è affidata interamente ai britannici Fastway che cantano i pezzi di Sammi Curr. L'album è la perfetta controparte musicale del film, improntata su un rock rapido, energico, divertente e di facile presa. Il disco è composto di nove pezzi di cui sette veloci e due lenti intitolati Heft e If You Could See a chiudere il disco. Tra le nove tracce spicca sicuramente il brano di apertura Trick or Treat che nel film viene eseguito da Sammi Curr nella sua esibizione dal vivo nella notte di Halloween di ritorno dall'oltretomba. Degno di nota è anche After Midnight, ascoltabile nel film durante i titoli di coda.

L'album è contraddistinto anche da una piccola nota umoristica: il libretto che accompagna il disco reca infatti  la scritta This album is dedicated to the memory of Sammi Curr, ma il cantante ovviamente non é mai esistito.

Morte a 33 Giri è un ottimo prodotto di un decennio dorato ricco di divertimento e spensieratezza i cui fasti non sono mai stati ripetuti, il film sicuramente non scontenterà né gli amanti dell'horror né quelli del buon hard rock di quel periodo. Guardandolo oggi resta forse un po' di nostalgia nel constatare come il talento di allora sembra essere perso in entrambe le correnti.