giovedì 31 marzo 2016

Taj Mahal - The Natch'l Blues

Basta il nickname del grande bluesman Taj Mahal, all'anagrafe Henry Saint Clair Fredericks, a suggerire che ci troviamo di fronte a un musicista atipico che non attinge solo dalla tradizione americana, ma che negli anni ha arricchito la propria musica di sonorità provenienti da terre lontane. E anche prima che iniziassero le sue sperimentazioni con la world music Taj Mahal non si accontentò di fermarsi al blues della tradizione di Muddy Waters o Howlin' Wolf ma aggiunse alla propria musica suoni che vengono dal soul e dal rhythm and blues.

Dopo il suo primo ed eponimo album di blues grintoso ma tradizionale pubblicato nel 1968, Taj Mahal pubblicò il suo secondo lavoro intitolato The Natch'l Blues nello stesso anno del precedente. Il disco è composto da nove brani di cui sei inediti scritti dallo stesso Taj Mahal, due standard della tradizione nera come You Don't Miss Your Water e Ain't That a Lot of Love e il brano folk The Cuckoo.

Tutti i brani sono piuttosto allegri e sono sostenuti dalla chitarre del nativo americano Jesse Ed Davis oltre che dal cantato di Taj Mahal. Il brano più forte del disco è sicuramente She Caugh the Katy che anni dopo fu usata dai Blues Brothers nel loro celeberrimo film.

Oltre a questa tra i brani di spicco troviamo le già citate Ain't That a Lot of Love grazie alla potente linea di basso ripresa poi in Gimme Some Lovin' degli Spencer Davis Group, anch'essa usata dei Blues Brothers, e You Don't Miss Your Water che sconfina decisamente verso il soul con un cantato che richiama lo stile di Otis Redding che pure interpretò lo stesso standard pochi anni prima.

Nella versione in CD pubblicata nel 2000 si trovano tre bonus track: una versione più energica e veloce di The Cuckoo, la lenta New Stranger Blues e la vibrante Things Are Gonna Work Out Fine condotta principalmente dall'armonica suonata dallo stesso Taj Mahal.

Dai suoi primi passi fino a pochi anni fa la carriera di Taj Mahal è proseguita a una velocità impressionante, sfornando album nuovi ogni pochi anni e soprattutto senza mai ripetere due volte lo stesso esperimento di mescolanza di stili diversi, e ogni volta che si cimenta in qualcosa di nuovo crea album memorabili: così come lo è The Natch'l Blues.

giovedì 24 marzo 2016

National Symphony Orchestra - Jesus Christ Superstar

La versione più celebre del leggendario musical Jesus Christ Superstar è senza dubbio quella dell'omonimo film del 1973 interpretato dal Ted Neeley e Carl Anderson, ma il fatto che sia la più nota non implica necessariamente che si tratti anche della migliore. Nel 1995 ne è stata infatti pubblicata la versione della National Symphony Orchestra diretta dal maestro Martin Yates e interpretata da Dave Willetts nel ruolo di Gesù e da Clive Rowe in quello di Giuda registrata negli Abbey Road Studios di Londra tra giugno del 1993 e novembre del 1994 e basta davvero poco a capire che questa versione è nettamente superiore ad ogni altra.

Bastano infatti pochi secondi dopo l'inizio di Heaven on Their Minds affinché già dalle prime parole My mind is clearer now si capisca che la potenza vocale di Clive Rowe surclassa ampiamente tutti i Giuda che lo hanno preceduto e pochi istanti dopo in than the things you say appare chiaro che anche l'estensione della voce di Rowe è notevolmente superiore e al confronto Carl Anderson sembra stridulo e immaturo; inutile il confronto con quello che è forse il secondo Giuda più famoso della storia, Jérôme Pradon nella versione uscita in DVD nel 2000 diretta da Gale Edwards e Nick Morris, che si dimostrò completamente incapace di raggiungere le note più alte. La prova di Rowe è semplicemente grandiosa e la sua interpretazione di Heaven on Their Minds supera in espressività anche la versione dei Queensrÿche contenuta nell'album di cover Take a Cover del 2007.

Maestosa anche la prova di Dave Willetts, potente e sicura, e nella sua interpretazione supera notevolmente Ted Neeley per forza, espressività e precisione. Lo stesso si può dire di tutti gli altri interpreti, da Paul Collins nel ruolo di Simone lo Zelota fino a Ethan Freeman in quello di Erode. Anche l'unica interprete femminile di rilievo, Issy Van Randwyck nel ruolo della Maddalena, offre una prestazione che coniuga dolcezza a potenza ed una notevole estensione nei suoi pezzi principali: Everything's Alright e I Don't Know How to Love Him.

Un ruolo fondamentale ha anche il coro a supporto dei solisti che si dimostra all'altezza della migliore esecuzione di sempre del musical di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice che si esprime con precisione ma al contempo lasciando apprezzare tutte le voci sia nei brani più energici come Simon Zealotes che in quelli più riflessivi come The Last Supper eseguita con la solennità di un canto liturgico.

Questa versione di Jesus Christ Superstar è impreziosita anche, come spesso succede, da alcuni adattamenti del testo. In Strange Thing, Mystifying Giuda dice infatti To let her stroke you and kiss your hair is hardly in your line mentre la versione originale direbbe To let her kiss you and stroke your hair, that's hardly in your line. Questa pratica è comunque piuttosto comune, anche nella già citata versione del 2000 in Heaven on Their Minds Giuda canta and our conquerors object to another noisy sect invece di I am frightened by the crowd because we are getting much too loud.

Purtroppo di questa versione esiste solo la versione su CD e non ne esiste una registrazione video che ne avrebbe garantito una diffusione molto maggiore. Ma proprio per questo serve a dimostrare che alle volte i prodotti di nicchia sono qualitativamente migliori di quelli più famosi.

giovedì 17 marzo 2016

Muro - Telon de Acero

I madrileni Muro nacquero nel quartiere Vallecas della capitale spagnola nel 1984 e la loro carriera discografica iniziò in modo atipico. Dopo la realizzazione di alcuni demo (nell'83, nell'84 e nell'86) pubblicarono il loro primo album live intitolato Acero y Sangre nel 1986 e solo nel 1988 diedero alle stampe il loro primo album in studio intitolato Telon de Acero. Con i loro primi dischi i Muro furono i primi a portare lo speed metal di stampo aglosassone, sul modello di Motorhead o Judas Priest, in Spagna e il loro esempio fu poi seguito da altre band iberiche come gli Angeles del Infierno o i baschi Su Ta Gar.

Il primo album in studio del gruppo è caratterizzato da un robusto speed metal basato sul suono veloce e forte delle chitarre e della sezione ritmica che ricorda molto il periodo di Ram It Down dei Judas Priest ed è contraddistinto dalla potente voce del cantante Silverio Solorzano, detto Silver, dotata di una notevole estensione. Inoltre nella maggioranza dei brani i ritornelli sono arricchiti da massicci cori eseguiti dall'intera band che rendono i brani stessi particolarmente energici e trascinanti. Tra i pezzi migliori spiccano la title track che si trova in apertura e che si apre con chitarra e campana a morto e poco dopo da un notevole scream di Silver che mostra le sue doti canore già dai primi giri del disco. Oltre a questa spiccano anche Extraño Poder, Juicio Final e Holocausto. Tra i brani notevoli va segnalata anche Solo en la Oscuridad che dura oltre cinque minuti e che inizia come una ballad con un arpeggio di chitarra ad accompagnare la voce del cantante per poi riprendere la strada dello speed metal dopo un minuto e mezzo.

Dopo Telon de Acero la band incise nel 1989 l'album Metal Hunter in cui ripropose i pezzi di Acero y Sangre tradotti in inglese, ma rinunciando alla loro lingua madre i brani persero un po' della loro originalità. Da allora la carriera dei Muro è continuata lungo la strada dello speed metal per oltre tre decenni e nonostante la band abbia visto numerosi cambi di formazione è ancora pienamente attiva. Dopo l'uscita dell'ultimo album nel 2013 intitolato El Cuarto Jinete anche Silver dovette lasciare il gruppo ed essendo sostanzialmente insostituibile la band prese la coraggiosa decisione di assoldare una donna, Rosa Pérez (ex cantante dei Black Shark), come vocalist in modo che ogni tipo di confronto con il passato fosse impossibile. La Perez ha già intrapreso con la band alcune esibizioni da vivo e la sua voce potente e graffiante suona decisamente adatta alla musica dei Muro. Attendiamo quindi i prossimi album, le premesse per credere che la nuova cantante sarà all'altezza del passato sono molto buone.

giovedì 10 marzo 2016

Capital Inicial - Rosas e Vinho Tinto

I Capital Inicial nacquero nel 1982 a Brasilia e pubblicarono il loro primo ed eponimo album quattro anni più tardi. Dopo due album di stampo new wave e post-punk il suono della band si spostò verso il pop tipico di quel decennio con l'album Você Não Precisa Entender e in seguito verso un rock più robusto, in cui le tastiere venivano sostituite dal suono delle chitarre, a partire da Todos os Lados del 1990. I cambi di rotta portarono alla band a un calo del consenso riscosso tra i fan e del volume delle vendite, lo scarso successo portò anche il cantante Dinho Ouro Preto a lasciare il gruppo. Con il nuovo cantante Murilo Lima la band incise un solo album in studio intitolato Rua 47 nel 1995 dalle sonorità più grunge e hard rock rispetto al passato, ad esso seguì il live Capital Inicial: Ao Vivo e nel 1998 anche Lima lasciò il gruppo e il posto di cantante venne di nuovo preso da Dinho Ouro Preto. Con il rientro del cantante storico il gruppo svoltò di nuovo verso un rock-pop che a tratti tende verso l'hard rock e la scelta si rivelò vincente perché i Capital Inicial tornarono anche al successo commerciale e di pubblico.

Il secondo album successivo al ritorno di Ouro Preto segnò anche il ritorno del gruppo a una major con il passaggio dalla brasiliana Abril Music alla Sony, uscì nel 2002 ed è intitolato Rosas e Vinho Tinto. Il disco si apre con la graffiante 220 Volts, uno dei pezzi più duri della produzione dei Capital Inicial, e prosegue con l'ottima À Sua Maneira, cover di De Música Ligera dei Soda Stereo tradotta in portoghese; il brano dei Soda Stereo è proposto anche in versione originale con il testo in spagnolo come bonus track in alcune edizioni del CD. Il resto dell'album è caratterizzato da un pop rock veloce, allegro e divertente e tra i pezzi spiccano Quatro Vezes Você, Mais e Como Devia Estar. Nel disco troviamo anche due ballad: Olhos Vermelhos presente anche in versione acustica come bonus track e la bellissima e sognante Isabel che chiude il disco.

A distanza di oltre trentanni dalla loro fondazione i Capital Inicial continuano a sfornare album in studio e live, l'ultimo dei quali registrato in acustico a New York è stato pubblicato nel 2015, e non sono un caso isolato nel panorama rock brasiliano che con gruppi come i Barão Vermelho o i Legião Urbana (band sorella dei Capital Inicial in quanto entrambi nati dalle ceneri degli Aborto Elétrico) è davvero ricco ma purtroppo poco noto al di fuori della propria nazione per via delle barriere linguistiche.

giovedì 3 marzo 2016

Anthrax - For All Kings

Il 2016 segna il ritorno del newyorkesi Anthrax che non hanno certo bisogno di presentazioni essendo tra i più celebri, e forse i migliori in assoluto, esponenti del thrash metal. Il nuovo album For All Kings è il secondo dopo il rientro nella formazione del cantante storico Joey Belladonna ed è stato anticipato dall'uscita di due singoli nei mesi precedenti la pubblicazione dell'album intero. Il primo di essi Evil Twin, ispirato agli attentati terroristici e alle sparatorie di massa avvenuti nel 2015, è stato pubblicato nell'ottobre dello scorso anno e con il suo suono graffiante e tipicamente thrash si ricollega molto alle sonorità del precedente Worship Music; ma è con il secondo singolo Breathing Lightning, pubblicato a gennaio, che la band ha dato una prova distintiva del proprio cambio di rotta che avrebbe trovato conferma nel resto dell'album. For All Kings è infatti incredibilmente melodico se paragonato a tutti gli album precedenti degli Anthrax.

Che il gruppo di Scott Ian fosse coraggioso e che spesso sconfinasse in altri generi è noto da tempo: sono stati tra i precursori del rap metal nel 1991 con Bring the Noise in collaborazione con i Public Enemy e due anni dopo si sono cimentati con successo nel grunge con l'album Sound of White Noise, e ora nel 2016 a oltre trent'anni dall'esordio sembrano volersi cimentare con il prog. Infatti brani come You Gotta Believe, con i suoi incredibili e imprevedibili cambi di tempo, Monster at the End, Defend Avenge o All of Them Thieves sono molto più ricchi di melodie e virtuosismi di ogni altra produzione passata degli Anthrax. Tra gli altri brani spiccano anche Blood Eagle Wings che è notevolmente lento rispetto a ciò a cui la band ci ha abituato e sembra voler riportare alla sonorità grunge del 1993 e Zero Tolerance che insieme alla già citata Evil Twin è la più tradizionale tra le tracce del disco con il suo ritmo tipico del thrash. In tutte le tracce Joey Belladonna dimostra di essere ancora al vertice delle proprie capacità vocali, sia per potenza che per estensione, o forse di averlo appena raggiunto perché dal punto di vista vocale questo album non è secondo a nessuno tra gli altri della discografia degli Anthrax.

For All Kings è stato stampato anche in versione deluxe con l'aggiunta di quattro pezzi storici della band, Fight 'Em 'Til You Can't, A.I.R., Caught in a Mosh e Madhouse, registrati dal vivo.

In ultimo va notata la bellissima e scherzosa copertina realizzata da Alex Ross che in turbinio di colori proveniente dal logo illuminato sullo sfondo vede le band ritratta come statue di santi o profeti adorati dai propri fans.

For All Kings è un grande album ed sicuramente uno dei migliori dischi che la band newyorkese abbia mai realizzato, che metterà d'accordo i fan del thrash ma anche chi si aspettava dal gruppo sonorità nuove, e soprattutto mostra che a trentadue anni da Fistful of Metal la qualità della musica degli Anthrax e la loro creatività non sembrano minimamente calare.

giovedì 25 febbraio 2016

The Blues Brothers: Music from the Soundtrack - Gli originali

The Blues Brothers del 1980 è uno dei film musicali più celebri della storia del cinema grazie ai suoi iconici protagonisti, magistralmente interpretati da Dan Aykroyd e dal compianto John Belushi, e alla colonna sonora ricca di brani diventati negli anni dei veri e propri cult interpretati con ospiti leggendari come John Lee Hooker, James Brown e Ray Charles.

Non c'è nessuno che non conosca She Caught the Katy o Gimme Some Lovin' cantate dai due fratelli della finzione cinematografica e dalla Blues Brothers Band, ma ciò che forse molti non sanno è che nessuno degli undici brani che compongono la colonna sonore ufficiale è inedito: si tratta infatti di altrettante cover di pezzi storici del soul, del rock and roll e ovviamente del blues.

Ignorare da dove sono stati tratti questi brani significa ignorare la tradizione da cui i Blues Brothers hanno attinto e non si può cogliere appieno la grandezza di questo film se non conoscendo quali sono i musicisti a cui la band si è ispirata.

Vediamo allora di seguito da dove sono tratti gli undici brani che Jake ed Elwood con la loro band hanno reinterpretato e personalizzato.

  • She Caught the Katy: brano scritto dal Yank Rachell e Taj Mahal per l'album The Natch'l Blues di quest'ultimo pubblicato nel 1968. Da allora vanta numerose cover di cui molte eseguite proprio da Taj Mahal con diversi ospiti.
  • Peter Gunn Theme: brano strumentale composto da Henry Mancini per l'omonima serie televisiva nel 1959. Anch'esso è stato reinterpretato numerosissime volte, tra le versioni più famore ricordiamo quella degli Emerson, Lake & Palmer e quella degli Art of Noise.
  • Gimme Some Lovin': pezzo degli Spencer Davis Group pubblicato nel 1966; nonostante sia stato scritto da tutti e tre i membri del gruppo sui dischi della band il brano è accreditato solo a Steve Winwood, mentre nella colonna sonora di The Blues Brothers l'informazione è riportata correttamente. La canzone prende in prestito il riff di (Ain't That) A Lot of Love di Homer Banks uscita lo stesso anno.
  • Shake a Tail Feather: canzone del gruppo soul Five Do-Tones uscita nel 1963 e utilizzata nel 1988 per la colonna sonora del film Hairspray (Grasso è bello nella versione italiana).
  • Everybody Needs Somebody to Love: forse il pezzo più famoso tra quelli eseguiti dai Blues Brothers, l'originale è di Salomon Burke e risale al 1964. Anche la parte parlata all'inizio del brano è presente nell'originale, così come nella versione del film.
  • The Old Landmark: brano gospel tradizionale inciso per la prima volta nel 1949 con arrangiamento di Virginia Davis. Secondo alcune fonti sarebbe stato scritto da William Herbert Brewster, secondo altre da Adeline Brunner (sulla colonna sonora del film è attribuito proprio a quest'ultima). Nel film è eseguito da James Brown con il James Cleveland Choir e cori di Chaka Khan.
  • Think: il brano è stato originariamente inciso da Aretha Franklin nel 1968 e in questa versione è eseguito dalla stessa Franlkin con cori di Jake, Elwood, Brenda Corbett, Margaret Branch e Carolyn Franlkin, sorella di Aretha, con l'aggiunta del sassofono suonato da Lou Marini. Questa versione è ampiamente più famosa dell'originale.
  • Theme from Rawhide: originariamente scritto nel 1958 da Ned Washington e Dimitri Tiomkin e cantato da Frankie Laine per la serie televisiva Rawhide (Gli uomini della prateria nella versione italiana). Tra la varie cover che negli anni hanno omaggiato il brano ricordiamo quella dei Litfiba nell'album Pirata del 1989.
  • Minnie the Moocher: il brano originale era stato scritto e registrato nel 1931 da Cab Calloway che nel film la ripropone a distanza di quasi cinquant'anni in versione sostanzialmente uguale all'originale con la sola aggiunta dei cori della Blues Brothers Band.
  • Sweet Home Chicago: è uno degli standard blues più noti di tutti i tempi, scritto e registrato da Robert Johnson nel 1936 negli anni è stato interpretato da innumerevoli artisti. Nel film, come dice Jake, è dedicato alla memoria del grande bluesman Magic Sam.
  • Jailhouse Rock: scritto in origine da Jerry Leiber and Mike Stoller nel 1957 e interpretato da Elvis Presley per la colonna sonora del film omonimo di cui era ovviamente anche l'attore principale.

giovedì 18 febbraio 2016

Myrath - Legacy

A cinque anni di distanza dal bellissimo Tales of the Sands tornano i tunisini Myrath con un nuovo album intitolato Legacy pubblicato il 12 febbraio di quest'anno. Il disco è stato anticipato dall'uscita del video del singolo Believer pubblicato il 29 gennaio. Il video vede la band entrare in un negozio di antichità, probabilmente proprio in Tunisia, e mentre i musicisti discutono con il negoziante il cantante Zaher Zorgati (che per oscuri motivi indossa due diverse paia di occhiali da sole a seconda dell'inquadratura) si allontana e trova una clessidra coperta da un panno che si rivela essere una macchina del tempo che trasporta il gruppo nell'alto medioevo in un'ambientazione da Prince of Persia dove Zaher deve scappare da miliziani del sultano che lo vogliono uccidere e correrà nel deserto tra mercanti e splendide danzatrici. Già dal primo video si può capire come la musica proposta dalla band resta fedele al proprio modello con ricche melodie power metal che si mischiano alla musica araba tipica delle loro terre, e oltre alla musica dobbiamo elogiare anche le immagini e i colori del video che sono davvero notevoli, con la tinta della sabbia sterminata del deserto che sembra avvolgere e trasformare tutto ciò che le sta intorno.

L'intero album conferma quanto Believer ha anticipato: i Myrath propongono, così come in Tales of the Sands, del power metal ispirato a modelli come i Symphony X o i Kamelot arricchito dalle sonorità tipiche delle loro terra sia nella musica che nel cantato. I Myrath sono un caso unico nel panorama dell'oriental metal, di cui sono tra i principali esponenti, in quanto non attingono da stili estremi come il black metal o il death metal ma da tradizioni più melodiche creando così una musica ricca di spunti e suggestioni.

Il nuovo album si apre con una traccia introduttiva strumentale intitolata Jasmin dalle sonorità decisamente arabe e lontanissime da ogni forma di metal ed è composto da undici tracce (dodici nell'edizione americana grazie a una bonus track) di cui quattro ballad, Nobody's Lives, Through Your Eyes, I Want to Die e Duat, e le restanti forti e veloci sostenute del potente suono delle chitarre elettriche. E' difficile scegliere brani migliori di altri perché tutti i pezzi sono di buon livello come la band ci ha abituato negli album precedenti; ovviamente i pezzi più interessanti sono quelli con maggiori inserti di musica araba come la già citata Nobody's Lives e Storm of Lies, impreziosite anche da alcune parti cantante il lingua tunisina, e le energiche The Needle, The Unburnt e Endure the Silence.

La bonus track Other Side è un bellissimo midtempo che si differenzia dagli altri pezzi del disco per il suo ritmo che non trova simili tra le altre tracce del disco e coniuga la forte base musicale alla melodia del canto, inoltre il brano è arricchito da un bellissimo coro di voci femminili nell'inciso e rende sicuramente preferibile l'acquisto della versione americana dell'album per non dover rinunciare a questo piccolo gioiello.

Ancora una volta i Myrath sfornano un album sicuramente molto valido che continua sulla strada già tracciata dal gruppo tunisino e offre una bella ventata di novità nel panorama metal mondiale. E vista un'altra volta la qualità e la creatività dei Myrath non resta che sperare che non passino altri cinque anni prima che realizzino un nuovo disco.