giovedì 30 luglio 2015

Quando i Kiss furono scambiati per un gruppo di imitatori

Psycho Circus del 1998 fu il disco della reunion, la band era tornata alla sua formazione originaria dopo che Peter Criss ed Ace Frehley avevano ripreso il loro posto nel gruppo. Prima dell'uscita del disco la reunion era stata festeggiata con un tour mondiale intitolato Alive/Worldwide Tour e ma con la pubblicazione di Psycho Circus la band partì subito per un nuovo tour che iniziò la notte di Halloween del 1998 al Dodger Stadium di Los Angeles.

Lo spettacolo, trasmesso in diretta via radio e via internet, durò oltre due ore e fu un grande successo dovuto anche a una band di supporto assolutamente d'eccezione: gli Smashing Pumpking, che per la notte di Halloween si esibirono vestiti da Beatles, con tanto di logo The Beatles sulla grancassa, e suonarono ben dieci pezzi. Con i suoi 32000 spettatori il concerto di apertura fu uno di quelli con più affluenza di pubblico dell'intero tour, superato solo dalle tappe in Argentina, Brasile e Messico.

Ma se ciò che successe sul palco è ben noto, ciò che accadde dopo il concerto è invece stato raccontato solo recentemente da Paul Stanley nella sua autobiografia intitolata Face the Music (disponibile in italiano con il titolo Dietro la maschera) pubblicata nel 2014. La band alloggiava al Sunset Marquis di Hollywood e appena dopo lo spettacolo salì sul furgone, ancora con il trucco, per tornare in albergo. Ma nelle vicinanze dell'hotel le strade erano congestionate, avevano sottovalutato la parata di Halloween.

Il furgone non poteva muoversi, ma a Paul venne un'idea: scendere a proseguire a piedi per i sette isolati rimanenti. "Come on, let's go", disse. Il resto della band protestò: "What? We're in full gear!", ma Paul insistette dicendo che ad Halloween tutti erano mascherati e nessuno li avrebbe notati.

Camminarono tra la folla, dapprima indisturbati. Poi un gruppo di persone si fermò a guardarli e fece loro i complimenti per i costumi così somiglianti agli originali, altri si limitarono a gesti di approvazione con il pollice verso l'alto. La band ringraziò in risposta ai complimenti.

Nessuno dei partecipanti alla parata si accorse che quei quattro vestiti da Starchild, Demon, Spaceman e Catman erano gli stessi che poco prima avevano suonato davanti a 32000 persone.

giovedì 23 luglio 2015

La morte di Brian Jones

Il giorno della sua morte Brian Jones era già l'ex chitarrista dei Rolling Stones, la band lo aveva escluso dalla formazione per via del suo pessimo carattere da circa un mese. Il 2 luglio del 1969 a Cotchford Farm, la sua residenza ad Hartfield nell'East Sussex, erano presenti altre due persone oltre a Brian Jones e alla sua fidanzata Anna Wohlin. Il primo era l'imprenditore edile Frank Thorogood che aveva l'incarico dei lavori di ristrutturazione della casa; Thorogood era stato presentato a Jones dall'autista del gruppo Tom Keylock e alloggiava momentaneamente in un appartamento sopra al garage della villa per poter presidiare i lavori in modo più efficace. La seconda persona era un'infermiera diplomata chiamata Janet Lawson che diceva di essere la fidanzata di Thorogood e che momentaneamente alloggiava con lui.

I rapporti tra Jones e Thorogood non erano buoni, il chitarrista era furioso con l'imprenditore per la qualità scadente dei lavori: solo pochi giorni prima una trave della cucina era caduta dal soffitto mancando Anna per pochi centimetri. Secondo qualche ricostruzione Jones aveva già licenziato Thorogood prima del 2 luglio, secondo molti altri stava valutando se farlo ma non aveva ancora preso una decisione finale. Questa seconda versione è molto più realistica perché se Jones avesse già licenziato Thorogood non si capisce perché questi alloggiasse ancora nella casa del chitarrista.

La sera del 2 luglio fino circa alle 22:30 Brian e Anna stavano guardando in televisione il famoso show Rowan & Martin's Laugh-In, quindi Brian si alzò per andare nell'appartamento di Frank e invitare i due per un drink a bordo piscina. Frank e Janet accettarono e si portarono alla piscina dove Brian e Anna erano già seduti. I quattro bevvero brandy, vodka e whiskey e di tanto in tanto Brian assunse delle pastiglie di tranquillante. Prima di mezzanotte Brian propose di fare un bagno in piscina. Le due donne rifiutarono, Anna disse che aveva freddo e fece per tornare in casa e Janet la seguì non dopo aver tentato di far desistere Brian che non riteneva potesse nuotare in quella condizione di ebbrezza.

I due uomini si tuffarono in piscina e poco dopo anche Frank rientrò in casa in cerca di sigarette. Quello che accadde all'interno della casa è oggetto di numerose ricostruzioni discordanti; è sicuro che Anna salì in camera per cambiarsi e che un attimo dopo fu impegnata in una telefonata ma non è chiaro se la fece o se la ricevette e chi dei tre sollevò per primo il ricevitore. Ciò che è certo è che per qualche minuto Thorogood rimase in piscina da solo con Jones e che poco dopo anche Thorogood venne via.

Janet rimase poco in casa e tornò fuori dove vide Brian Jones sul fondo della piscina a faccia in giù inerte. Janet urlò chiedendo aiuto, Anna sentì subito le urla perché la finestra della sua camera era rivolta proprio verso la piscina. L'infermiera tentò di estrarre Jones dall'acqua, ma da sola non ci riuscì. Nel frattempo Anna abbandonò il telefono sul letto, senza riagganciare, e corse fuori insieme a Thorogood. In tre estrassero Brian dalla piscina e Janet iniziò subito a praticargli la respirazione bocca-a-bocca per poi lasciare questo compito ad Anna in modo da poter eseguire il massaggio cardiaco. Nel frattempo Thorogood rientrò in casa per chiamare soccorsi, ma perse dei secondi preziosi perché Anna aveva lasciato il telefono scollegato.

L'ambulanza arrivò poco dopo mezzanotte seguita dalla polizia. Brian Jones fu dichiarato morto per cause accidentali dovute ad abuso di alcol e droga. La quantità di alcol nel sangue di Jones era di 140 milligrammi per decilitro: una quantità che non uccide ma che può pesantemente intontire. Inoltre dall'autopsia emerse che il cuore e il fegato di Jones erano gravemente compromessi dall'abuso di alcol e stupefacenti.

Per 25 anni questa teoria fu l'unica accettata, fino a quando nel febbraio del 1994 Tony Keylock dichiarò che Frank Thorogood (insieme ad Anna Wohlin nella foto accanto) poco prima di morire di tumore nel 1993 gli rivelò di aver ucciso Jones tenendolo sott'acqua; ma l'omicidio non fu volontario, Thorogood voleva solo spaventare Jones e farlo riemergere ma la situazione gli scappò di mano. In seguito anche Anna e Janet cambiarono le proprie versioni dei fatti per dare credito all'ipotesi che Thorogood avesse ucciso Jones. Anna pubblicò nel 1999 un volume intitolato The Murder of Brian Jones in cui racconta i fatti cambiando pochi dettagli rispetto alle sue prime deposizioni ma soffermandosi maggiormente sui rapporti tesi tra Thorogood e Jones e incolpando l'imprenditore di omicidio. Janet dichiarò al Daily Mail nel 2008 che la sua prima deposizione fu gravemente modificata dall'agente di polizia che la raccolse e aggiunse di non essere mai stata la fidanzata di Thorogood ma piuttosto di essere stata legata a Keylock il quale le aveva chiesto di andare per un periodo di tempo a Cotchford Farm per tenere sotto controllo Brian; Janet cambiò versione anche sulle cause della morte sostenendo anche lei di ritenere Thorogood responsabile per via del suo malcelato nervosismo poco prima che si scoprisse il cadavere.

Nonostante la teoria dell'omicidio perpetrato dall'imprenditore non sia del tutto folle va sottolineato che gli indizi in questo senso sono molto deboli. Tutta la teoria è basata su una confessione sul letto di morte che come ovvio lascia il tempo che trova perché il morto non può confermare o smentire e perché vi è un unico testimone. Anche i racconti delle due donne hanno poco peso perché entrambe hanno puntato il dito verso Thorogood solo dopo la supposta dichiarazione in punto di morte e a distanza di decenni dall'accaduto. Inoltre nessuna delle due è stata comunque testimone oculare e quindi le loro sono solo supposizioni.

Basta anche il comune buon senso a capire che questa teoria non è del tutto solida. Che Thorogood abbia ucciso Jones tenendolo sott'acqua implica necessariamente che il musicista non abbia minimamente tentato la difesa; altrimenti avrebbe avuto segni di colluttazione mentre né i testimoni né il medico li hanno mai menzionati e Anna avrebbe sentito le urla dalla finestra che si affaccia sulla piscina. Quindi dobbiamo ipotizzare che Jones fosse talmente stordito dall'alcol e dalle droghe da non essere in grado di difendersi, ma se era talmente stordito da non sapersi difendere l'ipotesi secondo cui era altrettanto incapace di nuotare torna ad essere la più probabile. Inoltre è veramente assurdo che Thorogood volesse fare uno scherzo così pesante al proprio committente: come unica conseguenza avrebbe ottenuto una denuncia per tentato omicidio e l'esonero dall'incarico dei lavori.

Tra le prove spesso portate a favore della teoria dell'omicidio c'è il fatto che il cadavere si trovasse sul fondo della piscina. Ma questo comportamento è assolutamente normale, qualunque cadavere di norma va a fondo e riemerge solo dopo ore quando si sono sviluppati dei gas intestinali (i testi da noi consultati sul comportamento dei cadaveri in acqua sono Crimini e farfalle di Cristina Cattaneo e Monica Maldarella, Manuale completo di medicina legale di Giuseppe Briand e Giuseppe Saverio Brosson e il paragrafo The Body in Water di questo documento dell'FBI).

Un'altra teoria vuole che Jones sia stato ucciso da Thorogood ma con l'aiuto dei suoi operai. Questa tesi è sostenuta da A. E. Hotchner nel libro Blown Away: The Rolling Stones and the Death of the Sixties, l'autore cita come proprie fonti le testimonianze di Dick Hattrell, ex manager della band, e di un amico di Brian che ha voluto restare anonimo e che si fa chiamare "Marty". Hattrell avrebbe saputo dagli operai di Thorogood che quella sera erano presenti anche loro a Cotchford Farm e che insieme a Frank hanno annegato Brian involontariamente, ma negli anni Hattrell ha smentito varie volte di aver detto questo. Marty sarebbe invece stato testimone oculare dell'omicidio ma in oltre quarant'anni non è mai uscito allo scoperto; l'uomo menziona anche la presenza di due donne legate sentimentalmente ai lavoratori le quali però restano anonime e non si sono mai fatte avanti per testimoniare. In realtà bastano le testimonianze di Anna e Janet a confermare che nessun operaio di Thorogood era presente quella sera. L'unica spiegazione sarebbe quindi che nei pochi minuti in cui le due donne hanno lasciato Brian solo con Thorogood gli operai siano intervenuti, abbiamo ucciso il musicista e poi siano scappati senza farsi vedere dalle due ragazze. Si tratta francamente di un'assurdità piuttosto evidente visto il poco tempo a disposizioni e l'ovvio rischio di essere scoperti.

Pur non potendo mettere la parola "fine" sull'intera vicenda, a oltre quarant'anni dall'accaduto l'ipotesi dell'incidente resta la più credibile e probabile.

Oltre a quelle già citate le fonti che abbiamo consultato sono The Stones: The Definitive Biography di Philip Norman, Amy, 27 di Howard Sounes, Brian Jones: The untold life and mysterious death of a rock legend di Laura Jackson, Old Gods Almost Dead di Stephen Davis, Sympathy for the Devil di Paul Trynka.

giovedì 16 luglio 2015

Myrath - Tales of the Sands

I tunisini Myrath sono uno dei gruppi più noti del movimento oriental metal che nei primi anni del nuovo millennio è stato particolarmente florido in Israele, nella penisola arabica e nel Maghreb. Ma a differenza di tutte le altre formazioni di questo movimento musicale i Myrath affondano le proprie radici nel prog e nel power metal, anziché nel black e in altre forme più estreme; la musica che ne risulta è un meraviglioso connubio di sonorità arabe e orientali con un metal riconducibile a modelli quali i Symphony X, Kamelot e in parte anche ai Dream Theater.

Il loro terzo album intitolato Tales of the Sands pubblicato nel 2011 è il miglior esempio di quanto valida e fresca sia la musica prodotta dalla band. Ogni brano è composto da una efficace mistura di mondi musicali diversi con la componente metal della musica dei Myrath, ricca di melodia, che si mischia alla perfezione ai suoni tradizionali dei luoghi di origine della band.

Tra i brani degni di una menzione particolare troviamo Under Siege che si apre con un vocalizzo di grande effetto della soprano francese Clémentine Delauney (ex cantante dei Serenity e attuale voce dei Visions of Atlantis) che si unisce al suono della tastiera e poco dopo al resto della strumentazione. Anche la title track è tra i brani migliori e anche questa si apre con un vocalizzo particolarmente efficace ed è caratterizzata da una melodia orientale ancora più marcata che crea il pezzo di migliore impatto di tutto il disco anche grazie al ritornello cantato in lingua tunisina. Il cantante Zaher Zorgati alterna lo stile di canto tradizionale a quello arabo e dimostra di sapersi muovere bene in entrambe le tradizioni, impreziosendo così i brani con un altro tocco di unicità.

Tutti i movimenti musicali caratterizzati dalla mistura di sonorità diverse sono di norma portati avanti da pochi gruppi davvero innovativi e da un lungo stuolo di emuli; ad esempio questo è accaduto nel crossover di fine anni 90 e nel celtic rock francese dei primi anni duemila, e lo stesso è avvenuto nell'oriental metal con gruppi con gli Orphaned Land e i Narjahanam a guidare un nutrito gruppo di imitatori. Ma i Myrath si distinguono sia dai primi che dai secondi creando una musica decisamente godibile e unica e fortunatamente del tutto priva di growl, molto usato invece dagli altri gruppi e che altro non fa che rendere brutto qualcosa che sarebbe altrimenti molto bello.

giovedì 9 luglio 2015

Tang Dynasty - A Dream Return to Tang Dynasty

I pechinesi Tang Dynasty sono spesso definiti il primo gruppo metal cinese. Francamente non ci sembra che la musica dei Tang Dynasty sia annoverabile nel metal, siamo più propensi a definirlo hard rock, ma a parte le etichette quello che importa è che la musica della band è decisamente di alto livello ha portato una bella ondata di novità fin dal loro album di esordio intitolato A Dream Return to Tang Dynasty pubblicato nel 1992.

La peculiarità dei Tang Dynasty è che la loro musica fonde elementi dell'hard rock, con forti chitarre di chiara ispirazione NWOBHM, con sonorità tradizionali cinesi suonate con gli strumenti della loro terra. Ne sono ottimi esempi i brani A Dream Return to Tang Dynasty e la ballad The Sun (sulla copertina del CD i titoli dei brani sono riportati in inglese e non in ideogrammi cinesi, almeno nella copia in nostro possesso). In alcuni casi le due componenti musicali sono semplicemente accostate, mentre in altri sono proprio mischiate. Il canto di Ding Wu spazia dalla tradizione del canto cinese all'hard rock di stampo più occidentale fino a lanciarsi in acuti, come nei brani Nine Four e Dream of Doomsday, che effettivamente sono l'unica componente di questo disco che si avvicina all'heavy metal, non raggiunge di certo i livelli di Bruce Dickinson o Rob Halford (a cui comunque si ispira), ma dal punto di vista estetico l'esito è comunque molto bello da ascoltare.

Il disco offre un'ottima varietà di pezzi veloci, in cui il suono delle chitarre si fa più forte, e di ballad, come la già citata The Sun e la suggestiva The Moon Hangs High. Ma la vera perla di questo album è il brano di apertura: il famoso inno socialista Internationale qui riproposto in chiave hard rock che pur mantiene l'impatto sonoro di un inno grazie al canto corale di grande effetto. Tra i brani spicca anche Paradise dalle forti atmosfere AOR per via della melodia più marcata e del trascinante coro che chiude il brano.

Nonostante non siano molto prolifici e a volte fanno passare anni e anni tra una pubblicazione e l'altra i Tang Dynasty sono ancora in piena attività e continuano a sfornare album di buon livello sulla scia dei loro inizi e dimostrando che in ogni zona del mondo esiste buona musica, spesso impreziosita dalla tradizione locale.

giovedì 2 luglio 2015

Muddy Waters - After the Rain

Muddy Waters è un musicista coraggioso. Perché solo un musicista coraggioso avrebbe potuto incidere album come Brass and the Blues, in cui rinuncia al proprio stile per avventurarsi in una via di mezzo tra B.B. King e Otis Redding, ed Electric Mud, in cui prova a miscelare il blues e il rock psichedelico tipico degli anni in cui il disco è stato pubblicato. Ma non sempre una scelta coraggiosa corrisponde a musica di buona qualità, infatti i due album sopra citati sono ampiamente discutibili: il primo è decisamente noioso e poco efficace, il secondo confuso e poco amalgamato con gli strumenti che sembrano suonare senza coordinazione.

Ma oltre che essere coraggioso, Muddy Waters è anche un genio della musica a tuttotondo e dopo due album così sperimentali ha dimostrato di aver imparato la lezione, prendendo quanto di buono questa esperienza gli aveva lasciato e usandolo per condire quello che è il suo stile distintivo: e il risultato è stato l'ottimo album After the Rain del 1969. In questo disco Muddy Waters torna a suonare la chitarra elettrica, cosa che non faceva da Folk Singer del 1964, e mantiene quel poco di suono distorto che aveva sperimentato in Electric Mud e senza arrivare agli accessi di allora.

Tutti i brani sono caratterizzati dalla chitarra e dalla voce di Muddy Waters che danno un'impronta potente, il disco è composto da cinque pezzi nuovi e da tre standard dello stesso Muddy e tutti gli otto brani sono di ottimo livello. Spiccano sicuramente I am the Blues che apre il disco, l'onirica Bottom of the Sea e la più allegra Honey Bee.

After the Rain è caratterizzato da suoni appartenenti al delta blues, di cui Muddy Waters è un maestro indiscusso, leggermente impreziositi dal rock psichedelico senza che questa componente ne prenda il sopravvento.

Si tratta in sintesi un album di grande blues che aprì le porte al ritrovato successo commerciale per Muddy Waters nel giro di pochi anni. Del resto una delle caratteristiche dei geni della musica è anche quella di sapere imparare dai propri errori.


giovedì 25 giugno 2015

La morte di Jim Morrison

James Douglas Morrison, universalmente noto come Jim, morì a 27 anni a Parigi la mattina del 3 luglio del 1971. L'unico testimone delle ultime ore di vita del cantante è la compagna dell'ultimo periodo della sua vita, Pamela Courson che al tempo aveva 24 anni, cui con abitava nell'appartamento affittato dalla ragazza al quarto piano del numero 17 di rue Beautreillis. La sera del 2 luglio i due erano usciti per andare al cinema dove videro Pursued (che in italiano si intitola Notte senza fine) con Robert Mitchum; dopo il cinema si fermarono per la cena in un ristorante cinese su rue Saint-Antoine e all'una tornarono a casa.

Jim si sedette davanti a un blocco per appunti sperando che gli venisse un'ispirazione per scrivere qualche poesia mentre beveva whisky direttamente dalla bottiglia e mentre Pamela tagliava strisce di eroina su uno specchio usando una carta di credito. Morrison odiava l'eroina e rimproverava a Pamela la sua dipendenza da questa sostanza, ma quella notte trasgredì al suo stesso principio; forse sistemandola in strisce la ragazza riuscì a fargli credere che si trattasse di cocaina. Jim non riusciva a scrivere nulla e i due iniziarono a tirare l'eroina insieme usando delle banconote arrotolate. Per un po' guardarono alcuni filmini in Super-8 delle loro vacanze passate, mentre ascoltavano in sottofondo vecchie canzoni dei Doors. Jim era irrequieto e nonostante fosse piena notte aprì la porta di casa e uscì sul pianerottolo a schiamazzare finché Pamela non lo riportò all'interno dell'appartamento.

Andarono a dormire intorno alle tre, dopo un'altra striscia di eroina. Un'ora dopo Pamela si svegliò disturbata dai lamenti di Jim che sembrava stesse soffocando e annegando nella sua stessa saliva. Non era la prima volta che questo accadeva e la ragazza provò a svegliarlo, lo prese anche a sberle e dovette farlo più e più volte e con molta forza prima che lui rinvenisse. Jim decise quindi di farsi un bagno caldo e dopo che il cantante si stese nella vasca la ragazza tornò a dormire. Poco dopo Pamela fu svegliata di nuovo: Jim stava vomitando. La ragazza si precipitò in bagno e lo trovò che rimetteva grumi di sangue e pezzi di ananas, corse quindi in cucina a prendere una casseruola che gli portò affinché potesse vomitarci dentro anziché sporcare l'acqua della vasca. La donna quindi gettò il vomito nel lavandino e lavò la casseruola, compì questa operazione per tre volte. Intorno alle cinque Jim disse che si sentiva meglio, ma restò nella vasca mentre Pamela tornò a letto.

Circa un'ora dopo Pamela si svegliò di nuovo e notò che Jim non era tornato nel letto con lei. Corse in bagno e lo trovò ancora nella vasca in stato di incoscienza; provò a svegliarlo ma senza alcun risultato. In preda al panico e cosciente del fatto che il suo francese non era sufficiente a chiamare un'ambulanza, Pamela chiamò l'amico di Jim Alain Ronay a cui chiese, tra i singhiozzi e a voce bassa, di chiamare un'ambulanza per lei. Alain e la sua compagna Agnes Varda chiamarono quindi i vigili del fuoco che arrivarono in pochi minuti, guidati dal colonnello Alain Raisson (la cui testimonianza è stata raccolta sia dal documentario francese Gli ultimi giorni di Jim Morrison sia da Final 24: Jim Morrison), e lo trovarono immerso nell'acqua tinta di rosa dal sangue e ancora calda. I pompieri lo estrassero dalla vasca e lo stesero sul pavimento della camera da letto seguendo le indicazioni di Pamela. Raisson gli praticò un massaggio cardiaco, ma capì subito che Jim era deceduto. I due pompieri allora sollevarono il cadavere per deporlo sul letto.

Già fin qui alcune cose non sono chiare. Come abbiamo già detto secondo tutte le fonti Pamela si svegliò alle 6 e trovò Morrison in stato di incoscienza. Ciò nonostante la telefonata ai pompieri, come riferito dallo stesso Raisson, arrivò solo alle 9:20 e i pompieri arrivarono in quattro minuti. A questo punto si apre anche il quesito di a che ora Pamela abbia telefonato a Ronay, secondo il biografo Stephen Davis, autore del volume Jim Morrison: Life, Death, Legend, questa telefonata avvenne alle 7:30. Ci sono quindi due voragini temporali impossibili da spiegare.

Comunque, poco dopo l'intervento dei pompieri arrivarono anche Alain Ronay e Agnes Varda e dopo di loro, alle 9:45, arrivò anche l'ispettore di polizia Jacques Manchez che raccolse la deposizione di Pamela. Tutti e tre i presenti dichiararono alla polizia che il morto si chiamava Douglas James Morrison in modo che non venisse identificato e che non si destasse clamore e siccome neanche i pompieri lo avevano riconosciuto ancora nessuno al di fuori dei tre amici di Jim sapeva che un noto cantante rock era morto nella vasca. Poco dopo arrivò anche il medico legale che, anche grazie al lavoro di Ronay che tradusse per lui le risposte di Pamela, stabilì in pochi minuti che si era trattato di un decesso per cause naturali e lasciò loro un modulo compilato da portare all'anagrafe per ottenere il certificato di morte. Ma quello stesso pomeriggio l'ufficio dell'anagrafe rifiutò di emettere il certificato ritenendo non sufficienti le frettolose spiegazioni del medico legale.

Fu inviata una nuova squadra di polizia, questa volta guidata dall'ispettore Berry il quale sospettava che Morrison fosse morto di overdose. L'uomo interrogò Ronay e Pamela a lungo e riprese vigorosamente la ragazza per aver abbandonato Jim nella vasca per tre volte per lavare la casseruola in cui aveva vomitato. I due ammisero che Morrison aveva consumato alcol, ma tacquero riguardo alle droghe che nel frattempo avevano fatto sparire dalla casa. Berry ordinò un nuovo controllo da parte di un altro medico e il dottor Max Vassille arrivò alle 18 per constatare, di nuovo in pochi minuti, che si era trattato di arresto cardiaco per cause naturali e convinse Berry a non insistere. Il corpo rimase steso nel letto fino al 5 luglio e per due notti Pamela dormì accanto al cadavere di Jim.

Un racconto leggermente diverso su come sono andati i fatti fu raccolto da alcuni amici di Jean de Breteuil, nobile francese discendente da una famiglia di marchesi e noto spacciatore da cui si riforniva abitualmente proprio la Courson, pochi giorni dopo in Marocco. Jean raccontò che quando Pamela si svegliò alle 6 del 3 luglio trovò la porta del bagno chiusa a chiave dall'interno. La ragazza chiamò Jim e bussò con forza, ma non ottenne risposta. Alle sei e trenta Pamela chiamò quindi proprio Jean il quale si trovava a letto con la ben nota Marianne Faithfull a cui disse di dover andare via perché aveva ricevuto la telefonata di Pamela. Arrivò da lei in circa mezz'ora, ruppe il vetro della porta del bagno e finalmente i due poterono entrare e furono i primi a vedere il cadavere di Jim Morrison.

Lo trovarono senza vita mentre dal naso e dalla bocca perdeva ancora sangue e con due lividi violacei sul petto. Pamela iniziò a urlare, entrò nella vasca e prese a sberle Jim nella speranza di risvegliarlo, fin quando Jean la prelevò di forza e la portò fuori dal bagno, quindi le disse che a breve sarebbe partito per il Marocco e di chiamare Alain.

Il racconto di Jean è poco realistico per una serie di motivi. Anzitutto come si vede dal fotogramma accanto tratto da Gli ultimi giorni di Jim Morrison (che mostra le vere stanze dell'appartamento in cui è morto il cantante, al contrario di Final 24 che mostra invece una ricostruzione grossolanamente sbagliata) e considerando che, come specificato da Raisson, Morrison era steso con la testa dalla parte opposta della vasca rispetto alla porta, per chiudere a chiave Jim avrebbe dovuto alzarsi, camminare per alcuni metri fuori o dentro la vasca, girare la chiave e tornare a stendersi nella vasca. E' uno scenario poco realistico per un uomo che si sente male e che non riesce a tornare a letto. In secondo luogo pensare che Pamela da sola non fosse in grado di sfondare il vetro è semplicemente ridicolo, si trattava probabilmente di un vetro singolo che avrebbe potuto rompere a mani nude o con qualunque utensile casalingo. In ultimo Raisson nel suo racconto non menziona mai la presenza di vetri rotti a terra e se ci fossero stati sarebbero stati un dettaglio degno di menzione. Potremmo anche aggiungere che dalle immagini del documentario francese la porta in questione non ha alcun vetro, ma ovviamente negli anni le porte potrebbero essere state sostituite e quindi si tratta di una considerazione molto debole.

Secondo una ricostruzione ancora diversa Jim sarebbe invece morto intorno alle 3 di notte del 3 luglio al night club Rock'n'Roll Circus che frequentava abitualmente. Jim si sarebbe chiuso in bagno e sarebbe morto di overdose da eroina iniettata in vena nel bagno del locale e poi sarebbe stato trascinato fuori attraverso un altro locale, l'Alcazar che è collegato al Circus da un tunnel, e portato a casa dove è stato deposto nella vasca da bagno. Questa versione è sostenuta dall'ex proprietario del Circus Sam Bernett (che però ammette di non aver visto Jim e che la vicenda gli è stata raccontata) e da alcuni avventori del locale presenti quella sera. A parte l'evidente assurdità di portare fuori un cadavere da un locale gremito e trasportarlo per tre chilometri da rue Mazarine (dove si trova l'Alcazar, il Circus invece dava su rue de Seine) a rue Beautreillis senza essere visti da nessuno, se Jim avesse avuto buchi nelle braccia questi sarebbero stati notati da entrambi i medici legali e anche dai pompieri che invece non hanno ravvisato nulla di strano. Inoltre non si capisce perché Pamela avrebbe dovuto prestarsi a una simile sceneggiata. La cosa più probabile è che gli avventori del bar abbiano scambiato un altro cliente per Jim Morrison.

Nel 2014 è emersa ancora un'altra teoria sostenuta proprio da Marianne Faithfull che è in contraddizione con tutte le precedenti. Sostenne la Faithfull in un'intervista alla rivista musicale Mojo che la sera del 2 luglio Jean si recò a casa della Courson per consegnare a Morrison una dose di eroina che si rivelò fatale, il cantante morì poi nella vasca dove è stato trovato. Sebbene questa teoria sia meno folle delle altre e non prevede improbabili trasporti di cadaveri, siamo restii a prenderla per buona perché la fonte è assolutamente inattendibile. La Faithfull nella sua autobiografia uscita nel 1994 e intitolata Faithfull sostenne la prima versione secondo cui Jean andò a casa di Pamela dopo la telefonata di questa e non giustifica questo suo disinvolto cambio di versione né in base a cosa ritiene di aver individuato la causa della morte di Morrison. In ultimo di nuovo non si capisce perché Pamela avrebbe dovuto mentire e scagionare Jean.

Altre teorie sulla morte di Morrison vogliono che abbia finto la propria morte e che sia ancora vivo. Altre dicono invece che sia davvero morto e che il suo fantasma appaia magicamente nelle foto scattate sulla sua tomba. Ma si tratta di sciocchezze talmente risibili da non meritare alcuna trattazione.

Sebbene il quadro generale sia chiaro e delineato è innegabile che qualche mistero nella morte di Jim Morrison resti. Purtroppo Jean de Breteuil morì lo stesso anno a Tangeri e nel 1974 a 27 anni anche Pamela Courson morì nella sua casa di Los Angeles per overdose. I misteri sulla morte della storica voce dei Doors resteranno per sempre tali.

domenica 21 giugno 2015

The Darkness - Last of Our Kind

Il 2015 ha visto il ritorno, a tre anni dall'ultimo album, della band inglese The Darkness con il nuovo disco intitolato Last of Our Kind. L'album è stato anticipato da due ottimi singoli: Barbarian e Open Fire. Le prime due tracce pubblicate hanno dato un chiaro segnale del fatto che la band volesse continuare sulla strada già intrapresa dell'hard rock con forti influenze hair metal e AOR fatto per divertire e fare festa.

Barbarian attinge a piene mani dalle chitarre degli INXS (a chi non è venuta in mente The One Thing?) e per il ritornello dalla voce di Gene Simmons (a chi non è venuta in mente Unholy?). In modo del tutto simile Open Fire ricorda più di un brano dei The Cult, sopra a tutti Rain. Questi due brani introducono alla grande il disco che prosegue su atmosfere allegre e festaiole per tutte le 10 tracce attingendo dai grandi del passato e riportando atmosfere di gioia che sembravano perse dopo gli anni 80. Tutte le dieci tracce sono decisamente ottime, difficile scegliere quali siano le migliori oltre ai due singoli già citati; se fossimo costretti forse sceglieremmo Hammer & Tongs, in cui il cantante Justin Hawkins si lancia in una non troppo velata imitazione di Mick Jagger, e la ballad Sarah O'Sarah.

Se c'è una cosa che non manca a questo album è la varietà di suoni: ci sono brani veloci, ballate e midtempo e Hawkins dimostra di sapersi muovere bene sia con la voce piena che con il falsetto, come dimostrato tra gli altri dal brano Mighty Wings.

Se invece c'è una cosa che di sicuro manca a questo disco, e alla produzione dei The Darkness in generale, è l'originalità. Nessun suono inedito e solo tanto rock pescato dal passato. Ma considerando quanto è allegra e divertente la musica della band, questo è un aspetto trascurabile. Forse non entreranno nelle enciclopedie del rock, ma di sicuro saranno i benvenuti alle feste di chiunque o nel lettore di chi si vuole regalare un'ora di divertimento.